«Qui per me ora blu», un libro magnetico e destabilizzante

Libro magnetico e destabilizzante. Per lo stesso motivo: si raffigura in ‘Qui per me ora blu’ di Gian Giacomo Menon, a cura di Cesare Sartori, edizioni Kappa Vu, la vita di un uomo che ha percorso gran parte del secolo scorso raccontandosi in versi: circa centomila poesie, centinaia di migliaia di parole dove si depositarono, come scrisse Menon stesso, «solo esasperazione problemi e non problemi del mio tempo».

Gian Giacomo Menon nacque a Medea, oggi in provincia di Gorizia ma allora austriaca, nel 1910. Dopo le lauree in giurisprudenza e filosofia insegnò storia e filosofia nel liceo classico Stellini di Udine ad almeno due generazioni di studenti friulani. In vita sua pubblicò pochissimo, dal 1957 abbandonò ogni forma di vita mondana per una «decisione di assenza» che gli fece trascorrere in casa, escluse le uscite legate all’insegnamento, oltre metà della sua esistenza.

Si deve soprattutto a Cesare Sartori, che con Menon si diplomò allo Stellini, la (ri)scoperta di un personaggio la cui vita isolata, la cui apparente assenza, la cui continua, insistente eruzione di versi non possono non attrarre ed allo stesso tempo destabilizzare, porci di fronte alle domande che chiunque si occupi di poesia si pone, e trovare risposte come «la poesia non serve a nessuno, è tempo perso, è roba troppo privata, eventualmente serve solo a colui che la inventa, che la scrive e la salva solo per sé, per una nuova chiarezza e convalida».

Le ‘note a margine dello sconforto’, appunti dell’autore in calce alle sue poesie, sono poi un libro nel libro, uno scarto, un piano-sequenza di illusioni e disincanti.

© Michele Obit


http://poetarumsilva.com/2014/01/17/gian-giacomo-menon-quindi-per-me-ora-blu-di-michele-obit/

michele obit

Gian Giacomo Menon nacque nel 1910 a Medea (Gorizia), allora territorio austriaco. Dal 1937 all’anno della morte (2000) ha vissuto e insegnato a Udine.
Pensiero individualista, solipsista, pragmatista, sostenitore della isostenia dei logoi, definiva così i suoi «segnali di vita»: casualità, nudità, paura.

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