Appunti e note sulla condizione esistenziale.

«Nessun rimpianto, rimpianti di nessun genere» (novembre 1995); «Vivere e coincidere così con niente, trascinarsi fra i colpi quotidiani, che cosa resta [della] mia lunga e assurda fatica quotidiana[?] un pugno di mosche fastidiose», «Io dico di me: sei un insensato, un pavido, un vile, un rinunciatario. E a che pro e quale significato[?] Ho lottato, lotto a vuoto»; «Io sono stanco, sfibrato sfiduciato, io ora aspetto solo la morte»; «Forse per sopravvivere dovrò fare, farò cose ripugnanti» (agosto 1996); «Ogni giorno più triste e arrabbiato,ogni giorno più solo e inutile, ogni giorno più stanco, più assente» (aprile-maggio 1997); «Non coincido più con me stesso, ho perso la mia identità, ora vado razzolando nella fine»; «Lo aspettavo di giorno in giorno ma non immaginavo così, non immaginavo questa preparata catastrofe. Questa mia ultima vita sguarnita povera e io mi arrampico giorno dopo giorno su specchi immacolati, annaspo il mio niente, stupidità menzogna gli alimenti della vita, schiuma della rabbia, ho perduto, è breve il tempo» (14 maggio 1997)…

Gian Giacomo Menon nacque nel 1910 a Medea (Gorizia), allora territorio austriaco. Dal 1937 all’anno della morte (2000) ha vissuto e insegnato a Udine.
Pensiero individualista, solipsista, pragmatista, sostenitore della isostenia dei logoi, definiva così i suoi «segnali di vita»: casualità, nudità, paura.

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