Di buono c’è che ci ha insegnato a non annullarci nella massa (ricordi? “io non ho l’istinto gregario” o qualcosa del genere?). Menon era un individuo. Se ti guardi in giro, hai incontrato poche persone nella vita. Per lo più incroci “gente”; uomini e donne che chiamano se stessi “gente”. Gente che si appiccica un’etichetta – che sia del vestito, o del Milan, o che sia “odio gli albanesi” (rumeni, terroni, negri, comunisti… ce n’è un sacco). Menon ce l’aveva con la stupidità. La prima volta che ho aperto bocca con lui, mi ha detto una sola parola: idiota. (L’argomento era la Ionia). Questo sì che mi ha segnato (infatti anni dopo me lo ha detto che voleva darmi una scossa). Leggendo il tuo ricordo mi viene in mente:  narcisista. In effetti lo era, ma di lusso. Però era distruttivo e se gli andavi dietro, poi era affar tuo costruire sulle macerie. Il migliore Menon però è quello dell’intimità. Dolce. Attento. Però geloso in modo insopportabile. Però con lui ho imparato le forme del litigio in cui è la gelosia che parla. Poi la linea retta che è la storia. Se questo non è insegnare a strutturare il proprio pensiero, che cosa è? Circa la non-procreazione, a parte che è il motivo per cui, quando mi ha fatto cercare, non sono andata da lui per non sentirmi dire cazzate su mio figlio (e di nuovo: problema mio: avrei potuto parlargli di nuovo d’amore, un amore diverso dall’unico che lui sa pensare). Ma l’unico amore di cui lui poteva parlare era il suo per me, o il mio per lui. Ma anche amando lui distruggeva, e per questo io sono scappata. Mi accorgo che parlo di lui al presente. E infatti Menon è una parte di me.

P. S. Per le frasi celebri, aggiungere: l’isostenia dei logoi e il solipsismo.

(18 novembre 2011)

 

Ho ripensato a Menon in questi giorni. Credo che la sua grandezza di insegnante soprattutto sia stata nel suo non essere per nulla provinciale. Questo ci ha dato. Almeno a me: io avevo letto un sacco, ma non avevo capito che fuori c’era un mondo di pensiero in movimento. E che io ero libera di accedervi. Poi, mi ha insegnato a scegliere e a volere. Oltre a lui – e a me stessa – ho conosciuto solo un paio di eremiti: persone che contano gli amici sulle dita di una mano.

(20 novembre 2011)

 

Mi ricordo una sua frase di questo tipo: se non stai alle regole che dò io, non farti più vedere. Il “non farti più vedere” è testuale. E io non sono più tornata. Ricordo che l’argomento del litigio era che ero stata a B. un giorno di più di quanto lui riteneva necessario – e già era un incubo rendergli conto (per iscritto) di ogni ora della mia vita. Sono cose che, se non le fai per tua necessità interiore, diventano una palla al piede. Me lo ricordo ancora questo scrivere incessante (a lui, non per me stessa!); non lettere, ma quaderni su quaderni, che poi gli consegnavo appena tornavo a Udine. Uscivo dalla stazione e andavo a casa sua: non era ammesso che passassi prima da casa mia, che so, a depositare un’eventuale borsa. Controllo su ogni respiro. Asfissiante. Se sfogli “I binari del gallo”, dove trovi il trifoglio quella sono io.

(25 novembre 2011)

Gabriella C.

Gian Giacomo Menon nacque nel 1910 a Medea (Gorizia), allora territorio austriaco. Dal 1937 all’anno della morte (2000) ha vissuto e insegnato a Udine.
Pensiero individualista, solipsista, pragmatista, sostenitore della isostenia dei logoi, definiva così i suoi «segnali di vita»: casualità, nudità, paura.

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