Mi ha aiutato a riflettere in particolare quello che scrivi a proposito dell’idea che ti sei fatto degli ultimi anni della vita di Menon e su come hai superato le remore che in passato ti avevano trattenuto dal cercarlo e dal confrontarti di nuovo direttamente con lui.
Anch’io ho sempre desiderato di rivederlo, o di riuscire a comunicare con lui in qualche modo. Ma era un desiderio virtuale. Credo che quel sentimento, un po’ ridicolo e infantile,  di venerazione che ho sempre provato e tuttora provo per lui me lo facesse apparire ancora più inavvicinabile di quanto non fosse forse nella realtà. Ero sicuro che lo avrei solo disturbato, infastidito e che non sarei
riuscito a riavviare una conversazione che potesse dare piacere a entrambi.
Ora invece cerco di abituarmi a poco a poco alle cose che vengo a saper di lui, all’immagine in parte sconosciuta che vedo emergere, grazie soprattutto per non dire esclusivamente al tuo impegno così generoso, che ammiro sinceramente. Considero ancora proibitivo di avvicinarmi direttamente alle
poesie, mi resta l’impressione di inadeguatezza a capire, provata inizialmente al liceo, quando avevo cercato di leggere ed entrare nello spirito dei versi usciti sulla Fiera letteraria.
Ma ora sono convinto anch’io che sia importante riuscire a parlare pubblicamente di lui e della sua opera. Mi conforta vedere che tutti quelli che lo fanno, le varie persone di cui cui tu mi hai parlato, lo fanno con l’attenzione e la sensibilità che fa capire che sono accomunati dallo stesso
sentimento di profondissimo rispetto per la sua persona e dalla consapevolezza del ruolo che ha avuto per tanti e di quello che ha rappresentato per l’evoluzione culturale del mondo in cui è vissuto.
Seguo perciò con partecipazione gli sviluppi del lavoro di riscoperta e riflessione pubblica sulla figura e l’opera, ma confesso anche con un po’ di trepidazione, legata al timore che possa portare inevitabilmente a un maggiore distacco da lui, che possa intaccare in parte quel senso di particolare
intimità che caratterizza il ricordo del rapporto unico che ciascuno di noi ha potuto in passato instaurare con lui.
Ed è vero anche per me quello che scrivi al punto 4: è impossibile parlare di Menon facendo astrazione dalla storia del proprio rapporto con lui. Per forza di cose, per noi che lo abbiamo avuto
vicino e abbiamo goduto della sua presenza nelle aule e nei corridoi dello Stellini, vuol dire continuare a riflettere e ricostruire i passaggi più autentici della nostra crescita e maturazione.

(24 dicembre 2012)

Giuliano A.

Gian Giacomo Menon nacque nel 1910 a Medea (Gorizia), allora territorio austriaco. Dal 1937 all’anno della morte (2000) ha vissuto e insegnato a Udine.
Pensiero individualista, solipsista, pragmatista, sostenitore della isostenia dei logoi, definiva così i suoi «segnali di vita»: casualità, nudità, paura.

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