Caro Cesare [Sartori],

                         ti scrivo finalmente dopo il mio rientro a Pisa; scusami il ritardo, ma ho approfittato degli ultimi giorni al Cinquale per leggere i diversi scritti di e su Menon che hai voluto lasciarmi in omaggio (e ti ringrazio ancora una volta!). Hai fatto un grosso lavoro di scavo e di recupero di materiali altrimenti destinati a scomparire, ma soprattutto hai saputo, lavorando su questi materiali (poesie e lettere) e sul tuo personale ricordo diretto di Menon, delineare un profilo molto vivido di questa figura di insegnante «socratico» e poeta in ermetica solitudine. È bello che tua moglie abbia condiviso con te l’avventura del «progetto Menon».

   Sulla sua formazione filosofica, hai fatto un quadro dettagliato e preciso, parlando di autori che anche noi sentivamo come «suoi», compresi Giuseppe Rensi e Carlo Michelstedter (che invano cercavamo nei libri di testo). Ai filosofi di impronta scettica mi verrebbe fatto di aggiungere Michel de Montaigne il cui «que sais-je?» veniva pronunciato da lui più volte e con particolare intonazione. E anche la figura di Montaigne chiuso con i suoi libri nella torre del castello doveva averlo affascinato.

   Ti ho già riferito quel giudizio lapidario e definitivo con cui un giorno definì i «tropi» di Enesidemo come «lo schiaccianoci di qualsiasi dogma». Quello che ci colpiva, oltre all’icasticità delle sue affermazioni, anche era la frequente evocazione di figure minori della storia della filosofia, che hanno al più un cenno nei manuali, ma che lui mostrava di conoscere dalla lettura diretta delle fonti (Sesto Empirico e Diogene Laerzio).

   Sul Menon insegnante «figura controversa e scomoda, eccentrico e bizzarro, istrione e narciso» come lo definisci, il mio ricordo è vivo e “riconoscente”, perché credo di dovere principalmente a lui quel rigoroso metodo ‘critico’ che poi mi sono sforzato di applicare negli studi filologici e papirologici come nell’affrontare i problemi della vita. Le sue lezioni sistematiche di storia della filosofia erano relativamente poche (e molti di noi si rammaricavano perché quando si dedicava a spiegare il metodo socratico o la dottrina delle idee di Platone o la metafisica di Aristotele o i sistemi filosofici di grandi pensatori medievali e moderni lo faceva con estrema chiarezza, ma senza indulgere a semplificazioni); si applicava più volentieri, raccogliendo spesso molti di noi intorno alla sua cattedra a libere conversazioni su argomenti di varia umanità. Sembrava infastidito da una lezione costantemente «ex cathedra». Spesso ho ripensato a questo e mi viene in mente l’esempio di Epitteto che a Nicopoli durante le lezioni “ufficiali” spiegava dottamente, come da tradizione, i testi degli antichi Stoici (soprattutto Crisippo), ma poi si intratteneva con i suoi allievi e magari con ospiti occasionali venuti da fuori su argomenti vari, che riguardavano la condizione umana. Il discepolo Arriano prese accurata nota di queste conversazioni (il termine greco è αι διατριβαι) e poi le condensò nel Manuale. Guarda caso, la tradizione manoscritta secolare ci ha conservato quattro libri di  Διατριβαι e il Manuale (ampiamente commentato in età tardoantica), non ci ha invece trasmesso le lezioni cattedratiche.

Ho letto il «Menon poeta» di Rienzo Pellegrini e la «Nota sulla poesia» di Giacomo Trinci per avere un aiuto per entrare nel mondo poetico, ma devo confessare che non sempre io sono in grado di apprezzare i valori formali di componimenti poetici ermetici che mi restano oscuri. Molto belle e interessanti le cinque lettere inedite con il loro singolare stile epistolare: quella sequenza incalzante di infiniti descrittivi della terza lettera ti prende, ti scuote. Hai ragione di dire che «più che messaggi, somigliano a pagine di un diario personale».

 

   Per il problema della genesi del titolo che tu hai dato al volume (Qui per me ora blu), ho visto un articolo di Giovanni Piana che credo possa interessarti. Il titolo è: Husserl, Schick e Wittgenstein sulle cosiddette proposizioni sintetiche ed è stato pubblicato nel periodico «Aut Aut» del 1971, pp. 19-41.  Abbondante il ricorso ai colori. Ma non sono un filosofo e guai al sutor che vuol andare ultra crepidam.

 

 Non so se gli amici Cesare Scalon e Claudio Griggio pensano a Supplementi del Nuovo Liruti, ma, se questo fosse il caso, Giangiacomo Menon dovrebbe ora di pieno diritto trovare un posto tra i friulani illustri e meritevoli di ricordo. Va da sé che l’autore del profilo biografico non potresti che essere tu.

   Un caro saluto e speriamo di rivederci nel ricordo di Menon e dal nestri Friûl.

Pisa, 3 settembre 2014

Antonio Carlini*

 

*Antonio Carlini (Udine, 1935) è stato incaricato di paleografia greca alla Normale di Pisa e ordinario di filologia classica nell’università statale della stessa città. Quando ha lasciato l’insegnamento, in alcuni di coloro che gli sono stati colleghi, scolari e amici è venuto naturale il pensiero di rendere testimonianza dei sentimenti di affetto e di amicizia che a lui li univano da molti anni, per alcuni da un’intera vita. Si è costituito così un comitato organizzatore che ha deciso di promuovere due giornate di studio in suo onore in occasione delle quali venissero trattati temi inerenti agli ambiti di ricerca che Carlini ha personalmente coltivato o che ha ispirato nel corso della sua intensa attività di maestro. La presenza di tre grandi tematiche: filologia, papirologia, storia dei testi, se da una parte rispecchia la vastità e varietà degli interessi dello studioso, dall’altra specularmente corrisponde anche alla varietà dei campi d’indagine delle persone che nel suo magistero si riconoscono. Da qui la presenza tra i relatori, accanto a insigni studiosi italiani e stranieri, anche di almeno alcuni dei suoi più giovani allievi. I risultati del convegno sono rappresentati dai contributi raccolti in volume (AA. VV., Filologia, papirologia, storia dei testi. Giornate di studio in onore di Antonio Carlini - Udine, 9-10 dicembre 2005, Fabrizio Serra editore, 2008, pp. 400) e trattano vari campi di ricerca: dalla tradizione del testo omerico nei papiri egizi a Platone e al neoplatonismo, dalla retorica in Grecia e dalla storia degli studi di medicina nell’antichità alla storia della cultura classica a Bisanzio e nel Rinascimento. 

Anche Carlini, a modo suo è entrato nella leggenda: Menon infatti lo citava come l’unico esempio di suo studente che, nel corso delle vacanze estive di un solo anno, aveva letto una cinquantina dei libri «fondamentali» che lui (Menon) consigliava di leggere. «Una cosa non da tutti», si premurava di aggiungere a mo’ di monito-avvertimento.  Qualcuno degli allievi di Menon, negli anni seguenti, raccolse la sfida e ci provò avvicinandosi al traguardo, ma senza riuscire…

 

 

Antonio Carlini

Gian Giacomo Menon nacque nel 1910 a Medea (Gorizia), allora territorio austriaco. Dal 1937 all’anno della morte (2000) ha vissuto e insegnato a Udine.
Pensiero individualista, solipsista, pragmatista, sostenitore della isostenia dei logoi, definiva così i suoi «segnali di vita»: casualità, nudità, paura.

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